C’era sempre qualcosa che non andava, nei film di Massimo Troisi. Una parola detta male, un amore che non funzionava, un cuore che non reggeva. Eppure era proprio in quella disfunzione, in quel passo più lento rispetto agli altri, che si apriva uno spazio autentico, umano, dove ci si riconosceva tutti. Troisi era uno che sbagliava, che si impappinava, che stava zitto quando doveva parlare e parlava quando era meglio tacere. Uno che, quando l’amore finiva, diceva: «E mo’? E che faccio mo’?».
Ecco, Troisi ha dato un volto e una voce a tutti quelli che si sono sentiti “mo’” almeno una volta nella vita.
Dietro ogni personaggio c’era sempre lui, Massimo. Non si travestiva mai davvero, non faceva finta di essere qualcun altro. Prendeva la sua malinconia e la metteva dentro corpi diversi: l’amico, l’innamorato, il figlio, il postino. E in ognuno di questi ruoli cercava di far funzionare qualcosa: l’amore, l’amicizia, il dialogo. Non c’erano mai troppe illusioni. La vita, alla fine, veniva sempre ‘na chiavica. Guarda la combinazione.
Eppure, noi ci ridevamo. Ci ridevamo tanto. Perché quella comicità, così leggera e malinconica insieme, aveva una radice profonda: la verità delle emozioni. Una verità che non ha mai avuto bisogno di sovrastrutture.
Era napoletano, sì. Ma a modo suo. Lontano da ogni cartolina, dai mandolini, dalle smorfie. La Napoli di Troisi era fatta di silenzi, di scale ripide, di camerette strette, di madri apprensive e di amori complicati. Era una Napoli quotidiana, imperfetta, vera. E forse proprio per questo così universale. I suoi personaggi, col tempo, si fecero più complessi, più adulti, ma non persero mai quella fragilità di fondo. Quella timidezza che diventava filosofia. Quel chiedere scusa anche solo per esistere.
Trent’anni dopo, Massimo Troisi è ancora con noi. In ogni persona che si sente “fuori tempo massimo”, eppure continua a cercare un modo per farsi capire. Per farsi amare.Massimo non ha mai voluto dare lezioni. Ma senza volerlo, ci ha insegnato a guardare la vita con uno sguardo più umano, più imperfetto, più suo e che, infondo, non è poi così diverso dal nostro.
