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Eclettico, dalla battuta sempre pronta e i riccioli che puntano dritto al cielo, Caparezza, classe ’73, dalla piccola Molfetta, un paesino della Puglia in cui se non sai cucinare riso, patate e cozze non hai diritto alla parola, è arrivato all’intera Italia, facendo una promessa ai suoi fan: «Non andrò mai a Sanremo».
Peccato, però, che, prima ancora di aver pronunciato il suo giuramento, il rapper l’avesse già infranto. Infatti, Michele Salvemini – questo il vero nome dell’artista – ha un passato oscuro. Negli ultimi vent’anni è famoso come “il signor Rezza Capa” (come lui stesso si definisce in “Vieni a ballare in Puglia”), ma alla fine degli anni Novanta al suo posto c’era Mikimix.
Sotto questo pseudonimo, il cantante si esprimeva attraverso un rap molto più pop e meno provocatorio di quello a cui i fan oggi sono abituati, producendo due dischi, “Tengo duro” (1996) e “La mia buona stella” (1997) e sognando la televisione, a cui approda con “Segnali di fumo”, programma di Videomusic condotto da Paola Maugeri.
Partecipa, poi, al festival di Castrocaro nel ’95 con “Succede solo nei film”, ma non riesce a superare i provini per Sanremo, così ritenta a due anni di distanza con “Donne con le minigonne” che gli consente di accedere alla sezione “Nuove proposte”.
Nel 1997 Mikimix si esibisce sul palco dell’Ariston con “E la notte se ne va” e se cercate in rete il video, non avrete difficoltà a trovarlo. La prima cosa che salta agli occhi è che non c’è l’ombra dei riccioli bruni, tratto distintivo del cantante, né tantomeno emerge il suo frizzante carisma, piuttosto ci troveremo di fronte un giovane ragazzo dai vestiti semplici e lo sguardo pieno di speranza, che, però, non è riuscito a rendere la sua musica accattivante.
Sembra quasi di vedere un’altra persona, un sosia, che somiglia in modo strabiliante al personaggio famoso che conosciamo. Sembra quasi impossibile pensare che Mikimix sia la stessa persona che canta: «Zitto medico /Mi costi caro / Io valgo zero / E non chiamarmi artista, ma cazzaro / È chiaro? Io sono cazzaro alla radice / Sono felice nella fece, dovrei piangere ed invece» (da “”Jodellavitanonhocapitouncazzo”).
Sanremo non va bene e il morale di Mikimix precipita in basso, ma, come spesso si dice, quando si cade in basso, non si può che risalire.
Infatti, è dopo questa esibizione che arriva la svolta e, finalmente, esplode l’estro artistico di Michele, che, tornato di nuovo a Molfetta, lavora a due demo, “Ricominzio da Capa” e “Zappa” (1998) e all’album collaborativo “Con Caparezza… nella monnezza” (1999), poi, finalmente, sboccia, come una farfalla che si libera del bozzolo, nel 2000 con il primo, grande, geniale, disco: “?!”.
La voglia di sperimentare mixando generi diversi, spingendosi oltre i compartimenti stagni di “rap” e “hip-hop”, lo spirito di denuncia sociale e le più disparate citazioni contenute nei suoi testi (politiche, culturali, artistiche) fanno di Caparezza uno degli artisti più grandi dei nostri tempi, un outsider del genere rap, che non si serve di denaro, donne, vita di strada per rendere grandi le sue canzoni, ma ragiona, ingegna, crea senza mai essere banale o ripetitivo, ancora oggi, a sette album dal suo avvento nella musica come il signor Rezza Capa, che si autodefinisce: «Egli fu Mikimix, cantante insignificante, dal cui autodisgusto nacque il sé stesso odierno», e questa non è l’unica citazione al suo passato che fa il cantautore.
«“Sei tu Mikimix?”/ “Tu lo hai detto!”», rimarca in “Habemus Capa” dall’omonimo disco del 2006.
Insomma, l’artista pugliese non smentisce le sue origini, sia native che musicali, e regala al suo pubblico la sua coerenza, che tutti noi dovremmo osservare pensando al nostro passato, agendo nel nostro presente e sperando per il nostro futuro, anche perché, soprattutto se sei un artista famoso, è meglio che spiattelli tu le verità scomode del tuo percorso artistico, prima che sia qualcun altro a scovarle e farlo al tuo posto.