Ormai la parola “censura” è all’ordine del giorno. Specialmente se si tratta di testi e di canzoni.
È vero, “l’uso e costume” del Belpaese è cambiato nel corso degli anni, ma la questione del politically correct ha da sempre sollevato grandissime critiche, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Sanremo è il teatro, per antonomasia, dai cui deve emergere necessariamente il buon gusto, e l’occhio di riguardo verso ciò che fuoriesce dal Festival, è senza dubbio amplificato.
A tal proposito, a sollevare un polverone non da poco, è stata la scelta di Fedez di voler cantare nella serata cover: “Bella stronza”, insieme al suo autore, Marco Masini. In seguito alle polemiche sorte dopo la decisione del rapper di Rozzano, si è deciso di adattare il testo restituendolo in una versione 2.0.
C’è da dire che ogni canzone è figlia del suo tempo, e “Bella stronza” di Masini, rappresenta ieri, come oggi, un brano dall’intensa espressione emotiva. Un pezzo in cui l’artista si mostra disperato, rabbioso, crudele, con sé stesso, nel vedere i propri sentimenti disprezzati.
Ma nella lunghissima storia del Festival sanremese, la polemica “Masini-Fedez” non figura di certo il primo caso di censura. Vediamo insieme quelle che l’hanno preceduta:
Il primo scandalo sanremese avvenne nel 1959 con “Tua”: non tanto per la canzone in sé, ma per l’interpretazione estremamente audace di Jula De Palma, che lasciò intendere un rapporto fisico tra un uomo e una donna. Nei giorni successivi alla sua esibizione, la cantante ricevette innumerevoli insulti e fu persino vittima di un’aggressione in strada. Il disco fu censurato e, a causa anche delle pressioni del Vaticano, fu imposto il divieto di radiotrasmissione.
Nel 1971 fu la volta di “Donna Felicità” dei Nuovi Angeli, scritta da Vecchioni, non superò nemmeno il “taglio” della severissima Commissione Selezionatrice, che si mostrò perplessa nei confronti di un paio di passaggi: “scommettiamo che lo so/a chi darà la rosa”, e ancor più espliciti i versi: “la divertiremo noi/col gioco delle noci intorno al fuoco”. Ma nonostante ciò, la canzone ebbe grandissimo successo arrivando seconda al Festivalbar.
Da menzionare anche la canzone “Gesubambino”, scritta da Lucio Dalla insieme a Paola Pallottino; storia di una ragazza madre che ha un figlio da un soldato alleato, rimasto ucciso in guerra di lì a poco. Qui la censura rincalzò più volte, a cominciare dal titolo che da Gesubambino cambiandolo nella data di nascita del cantautore bolognese, per continuare con “giocava alla Madonna/con il bimbo da fasciare” che diventarono “giocava a far la donna”, per finire con i celebri versi: “e ancora adesso che bestemmio e bevo vino/per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino” , trasformati nei meno “scandalosi” “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino/per la gente del porto sono Gesù Bambino”.
Da non dimenticare anche l’esordio a Sanremo di Vasco Rossi, nel 1982, con l’intramontabile “Vado al massimo”; anche in questa occasione si presentò il caso di censura. Il testo originale diceva: “vado in Messico, voglio andare a vedere se come dice il droghiere, laggiù masticano tutti foglie intere”, ovviamente non ci fu bisogno di interpretazioni. Vasco venne richiamato, e gli venne chiesto di modificare il verso in “laggiù vanno tutti a gonfie vele”, ma lui trovò comunque il modo ugualmente il modo di sbalordire sul palco dell’Ariston.
Chiudiamo nel migliore dei modi con la grandissima Loredana Bertè, con uno dei pezzi più dolorosi degli ultimi decenni, “Luna”, brano del 1997. Canzone e note che riecheggiarono fortemente dal cuore dell’artista per la morte della sorella, Mia Martini; ma quel “vaffa”, in apertura, risultò troppo scandaloso, e così venne trasformato in: “occhiali neri, Luna”.
Annamaria Martinisi