Vuoi vedere che in una vita precedente era davvero un gladiatore romano? Sì, perché Russell Crowe nell’ultimo periodo lo abbiamo visto spesso aggirarsi nelle zone del Colosseo (come foto di copertina presa da un suo tweet).
L’attore australiano è ancora una volta nella capitale come super ospite di Alice nella città, rassegna parallela alla Festa del Cinema di Roma, dove si è raccontato a lungo e ha presentato il suo ultimo film “The Poker Face”.
Al pubblico di giovani ha subito parlato di come è iniziata la sua carriera. «Quando mi dicono che sono un attore prodigio rispondo che no, sono solo un bambino comparsa. Mia madre lavorava in un catering per i set cinematografici, a sei anni sono andato a trovarla e mi hanno preso come comparsa perché avevano bisogno di un bambino».
E in barba al messaggio del “bisogna studiare” lui racconta: «Non ho mai studiato in una scuola di cinema, tutto quello che so l’ho imparato lavorando. Ho fatto 415 rappresentazioni del ‘Rocky Horror Picture Show’, ho fatto teatro e tv ma intanto facevo il barman. Lavoravo e andavo a fare le prove, ero ossessionato dalla performance. Non sono venuto fuori da nessuna Hollywood. Il mio primo lungometraggio e’ arrivato solo a 25 anni. Dopo venti anni dalla mia prima comparsa. Nel frattempo avevo fatto duemila performance dal vivo».
Lo ha aiutato una grande determinazione. «Sono entrato nel mondo del cinema, dopo tanto impegno e fatica. È stato un sogno del quale non parlavo mai ma dentro di me, nel profondo del mio cuore, avevo il desiderio di fare cinema. Percio’ non date retta all’amico rompiscatole che vi dice che le cose non sono possibili. Non e’ vero, ogni cosa e’ possibile”, ha esortato l’attore e regista, rivolgendosi ai giovani spettatori».
Tra i suoi lavori ricorda come «”A beautiful mind” e’ stata per me la sfida più importante dal punto di vista psicologico: ho dovuto studiare e riproporre i sedici tic dai quali era affetto il protagonista. Dal punto di vista fisico, invece, “The rain man” e’ stato il più duro perché abbiamo girato con la pioggia per trentasei giorni. Nel cinema serve l’ego, il nostro lavoro e’ fatto anche di delusioni e bisogna avere le spalle forti. Sul set bisogna creare rapporti solidi, come attori siamo al servizio del regista. Per questo e’ importante stabilire con lui e con il direttore della fotografia buone relazioni, per capire come interpretare al meglio. Se fai bene il tuo lavoro, saprai dare le sfumature che il regista desidera per la sua opera. Per questo, sono stato il fortunato che ha avuto la vernice giusta per dare a Ridley Scott il colore che lui voleva sul set».
Parentesi sul passato a parte, ci catapultiamo sul prossimo lavoro che Crowe dirige e interpreta, come già detto “The Poker Face”, che uscirà nei cinema il 24 novembre. «Abbiamo girato in lockdown, veniva fatto tutto di notte, in maniera illegale, e anche la parte sociale era esclusa: non potevo nemmeno offrire un caffè agli altri della troupe. Ci siamo fermati per sette mesi, perché l’addetto ai caffè aveva preso il Covid. Abbiamo ripreso, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Era un’impresa impossibile, ma la sfida è stata vinta, c’è tutta la mia esperienza in questo film».
Aveva da poco perso il padre, e proprio nel suo ricordo ha trovato la forza per andare avanti. «Ero in una condizione in cui ho cominciato a pensare ‘che faccio’? I soldi c’erano, ma il regista non c’era. Ho pensato a cosa mio padre avrebbe fatto. Tante persone non avrebbero potuto dare da mangiare alle loro famiglie. Sono abituato a preparare molto di più i miei lavori, ma la considerazione di cosa avrebbe fatto mio padre mi ha mosso».
Il film racconta la storia racconta la storia di Jake, un giocatore d’azzardo miliardario che decide di riunire i suoi più grandi amici nella sua tenuta di Miami per una partita di poker speciale. La vittoria permetterebbe ai partecipanti di vincere più denaro di quanto abbiano mai sognato, ma in cambio dovranno rinunciare a qualcosa che hanno tenuto premurosamente nascosto per la loro intera vita: i loro segreti.