Dai videoclip della scena musicale underground romana a quel David di Donatello che, a 24 anni, brilla, commuove e spaventa. Phaim Bhuiyan ha ispirato la Sala Verde, ‘casa’ dei giffoners appartenenti alla sezione ‘Generator +18’, raccontando qualcosa in più sulla sua carriera, esplosa ufficialmente con ‘Bangla’, pellicola cinematografica rilasciata nel 2019, con produzione targata Fandango, che l’ha portato ad essere uno dei nomi più caldi del nuovo cinema tricolore.
Per conquistare i ragazzi della “Generator +18”, a Phaim basta davvero poco. Tra battute, aneddoti e risate, tra il regista e i giffoners s’è da subito instaurato un forte legame. “Sono preso bene”, ha detto appena messo piede sul palco della Sala Verde. È la prima volta per lui a Giffoni, ma di certo non la dimenticherà facilmente. Alla platela ha raccontato dei suoi esordi, e di quell’incontro ai vertici Freemantle che giunse un po’ per caso: “È stato tutto abbastanza anomalo, quando è successo avevo vent’anni e stavo lavorando alla tesi universitaria – ha detto -. Conoscevo un videomaker che lavorava nel mio quartiere e mi propose a degli autori di Freemantle che stavano lavorando ad un programma televisivo in lavorazione”.
Fu la storia di Phaim a colpire i vertici della nota casa di produzione: “Ero un po’ spaventato perché non conoscevo bene la struttura televisiva”. Insieme all’autore Francesco Medosi lavorò a un documentario-inchiesta “L’amore ai tempi delle seconde generazioni”, che non passò inosservato agli occhi della casa di produzione Fandango: “Ci fu un incontro a cui andai con la mia docente di Università. Credevo volessero soltanto una consulenza, invece mi dissero che il racconto gli era piaciuto e mi proposero di farne un film. Dissi di sì, ma avevo paura. Credevo però fosse un treno, un’occasione che non poteva essere persa”. Così è nato ‘Bangla’, di cui Phaim Bhuiyan ne è regista, sceneggiatore e attore.
Protagoniste dell’incontro al #Giffoni2022 sono state proprio quelle paure ed ansie che hanno spesso, purtroppo, accompagnato il regista. Insicurezze che “non mi permettevano quella spavalderia di proporre un mio lavoro ad una casa di produzione”. Phaim spesso ha fatto riferimento al concetto della ‘terapia d’urto’, per affrontare e superare le paure, “ma con la consapevolezza che può sempre andare male – ha spiegato – Anche se magari si tratta soltanto di proiezioni della nostra mente, che poi non corrispondono al vero. Il ruolo del regista è quello di prendere delle decisioni, che siano giuste o sbagliate soltanto l’esperienza lo potrà dire”.
Cita Morgan Freeman e Michael Jordan, Phaim Bhuiyan, mentre risponde alle domande e curiosità dei giffoners, come quella di prendere tutto ciò che ha appreso nell’universo cinematografico e metterlo al servizio della sua terra d’origine, il Bangladesh: “Non ci ho mai pensato, ma è un’idea che potrei rubare!” afferma con ironia il regista, che a chi gli domanda di un secondo film dice, sempre col sorriso: “Se dovesse andare male andrò a vendere le rose”.
Passare dai videoclip musicali girati per strada e alle brevi clip in discoteca, fino ad un David di Donatello come miglior regista esordiente, fa un certo effetto, specialmente per un giovane sognatore come Phaim, cresciuto a pane e Bollywood, “mia madre si faceva spedire i vhs”, e che all’Università s’è poi aperto ad altre scuole cinematografiche, “dal neorealismo italiano di Monicelli alla nuova scuola di Hollywood di Spielberg”.
Prima di salutarlo, i ragazzi della “Generator +18” omaggiano Phaim Bhuiyan con l’Explosive Talent Award, riconoscimento riservato proprio ai giovani talenti del nostro cinema: “Mi ritengo privilegiato ad essere qui – ha concluso il regista -. Vi auguro di vivere la mia stessa carriera, e di ritrovarvi qui al mio posto”.