Ammettiamo che il caffè si beve in tutto il mondo. Ma l’atmosfera rilassata di un caffè viennese non ha uguali al mondo. A Vienna, così come a Napoli o a Trieste, dove il caffè è arrivato nel 1600, è qualcosa di diverso, che scandisce lo scorrere della vita.
Lo scorrere del tempo lento di una volta, secondo il vecchio motto viennese che è ancora attuale: “Dio ci diede il tempo, ma della fretta non ha parlato”. Prendere un caffè è l’occasione per incontrarsi, seduti all’aperto o al banco, per dialogare del più e del meno, per combinare l’idea utile al dilettevole scandendo l’umore, l’estro del momento.
È insomma il salotto per incontrare gli amici, un rito che va al di là del tempo e dei costumi. C’è però una cosa che nel tempo i viennesi hanno perfezionato: la cultura del kaffeehaus, del locale dove “gustarlo nero come la notte, dolce come l’amore, ardente come l’inferno”.
Cultura e gusto che sono il punto franco di una società borghese che ama poco i ritmi frenetici metropolitani. Elementi che si combinano tra “cosa” (melange, einnspanner, gold), “dove” (classico ambiente ottocentesco o stile liberty), “come” (con una fetta di Sacher o un paio di salsicce viennesi), “perché” (vedere ed essere visti, leggere il giornale) e “con chi”.
Ecco che un buon caffè a Vienna diventa un cosmo tutto da scoprire. Non è un caso che la città sia nota come una delle metropoli europee della cultura della bevanda nera e che nel 2011 i caffè viennesi siano stati inseriti nella lista Unesco come patrimonio culturale immateriale.
Anche se è entrato a far parte dei caffè anche il cappuccino, la “wiener melange”, la tazzina con la schiuma di latte. È per questo che ogni tazzina ha un suo proprio sapore inconfondibile, ogni “nero” ha la sua nota personale che lascia per sempre la sua impronta. Come all’Hawelca dove le tradizioni si tramandano di generazione in generazione, come fossero segreti di famiglia.
Anche la cultura ha il suo caffè. Musei come quello delle Belle arti o l’Ebraico, il Mak, il Laudtmann, dichiarato museo nazionale (ebbe tra i suoi clienti più assidui Sigmund Freud, Joseph Roth, Marlene Dietrich, Romy Schnaider, Max Reinhardt ed altri ancora) o persino la nobile scuola di equitazione spagnola sono tutti dotati di caffè: una vera e propria istituzione nell’istituzione.
I kaffeehaus a Vienna si distinguono anche per il loro arredamento: il marmo verde rende prezioso il Central, ritrovo di artisti; il legno abbellisce l’Hawelka; lo stile liberty con il terrazzo distingue il Palmenhaus; gli specchi il Savoy. Anche l’architettura è una testimonianza dell’epoca. Jaosef Hoffmann è l’autore degli interni del Cafè Wunderer, Oswald Haerdtl ha disegnato invece il Prukel.
Insomma, a Vienna i caffè parlano una sola lingua: quella del nero che non invecchia. Da più di quattrocento anni.