Chi di noi non ha mai sognato un viaggio sulla Luna, di orbitare intorno alla Terra, di indossare la tuta degli astronauti. Tema tornato di moda grazie anche ai successi della nostra Samantha Cristoforetti, che mostra spesso com’è vivere su uno shuttle.
Ma cosa si mangia a “testa in giù”? Nella foto di copertina vediamo addirittura una pizza fluttuare durante una missione della Nasa!
Ma per conoscere i segreti su questo tema ci viene incontro Franco Malerba, il primo astronauta italiano, per oltre trent’anni nello spazio, nel suo libro “Il cibo nello spazio” (edizioni Dedalo), riflettendo sulle risorse che saranno necessarie in futuro.
«Il cibo degli astronauti è diventato un tema di ricerca sempre più gettonato in questi anni in cui si prepara il ritorno sulla Luna e ci si misura con tecnologie che potranno consentirci non solo di raggiungere il suolo lunare, ma soprattutto di creare le condizioni per vivere e lavorare su quel suolo in modo sostenibile.
Che si possa arrivare sulla Luna lo si è già dimostrato più di mezzo secolo fa, con lo storico allunaggio di Neil Armstrong e Buzz Aldrin, ma mettere in piedi una logistica che consenta il trasferimento sicuro di uomini e mezzi, e renda possibile la permanenza di esseri viventi in basi lunari – mettendo a punto nuove strategie di sopravvivenza in luoghi così ostili per la mancanza di risorse basilari come l’aria e il cibo – è la nuova grande sfida dell’esplorazione.
Riuscirvi nell’arco di questa decade o poco più darebbe fiato all’ambizione di un’esplorazione umana futura di Marte, la sfida ultima ragionevolmente accessibile della riscoperta del gemello della Terra.
Parlare di cibo per gli astronauti potrebbe sembrare un tema fin troppo “sfizioso”, quando i rapporti delle agenzie delle Nazioni Unite ci ricordano che nel 2021 circa 828 milioni di persone hanno sofferto la fame, e che la pandemia e la crisi climatica hanno allontanato l’obiettivo di eradicare la fame nel mondo entro il 2030.
Le radici di tale male assoluto sono tante e la tecnica non sembra il problema principale; tuttavia, le ricerche che si fanno attorno al tema del cibo per lo spazio possono essere assai utili per ridurre il consumo di risorse in agricoltura – acqua ed energia in primis – e in generale nella produzione alimentare sulla Terra.
In effetti, si stima che l’agricoltura nel mondo sfrutti oltre il 70% dell’acqua globalmente utilizzata dall’uomo e il 30% dell’energia consumata. L’agricoltura non è inquinante come l’industria di trasformazione, ma è comunque una delle attività che utilizzano maggiore quantità di acqua.
È anche diffusa ormai l’abitudine del “mangiar veloce”, che spesso fa rima con mangiar male, e molte patologie attuali derivano da una dieta inadeguata.
Nello spazio tutto si complica, perché l’ambiente di riferimento è assai diverso da quello abituale terrestre e perfino la fisiologia delle persone si modifica; la nutraceutica degli astronauti e la ricerca relativa alla futura agricoltura per lo spazio possono quindi insegnarci molte cose utili alla nostra salute e a quella della biosfera.
Il cibo nello spazio è davvero una materia interdisciplinare. Ho potuto toccar con mano la molteplicità delle prospettive e dei fili di ricerca che si intrecciano. Guidato da Stefania De Pascale, professore di Orticoltura e Floricoltura all’Università di Napoli “Federico II”, abbiamo accolto quali relatori al Festival dello Spazio di Busalla – nell’edizione 2022 – alcuni dei più brillanti ricercatori italiani che lavorano su questo tema nel mondo accademico e industriale; relatori e divulgatori che mi hanno affascinato al punto da indurmi a scrivere questo libretto – senza che io sia grande esperto in materia – per farne una sintesi personale, integrata al ricordo dell’esperienza indimenticabile del vivere e lavorare nello spazio a bordo dello Space Shuttle.
La ricerca sull’alimentazione degli astronauti è interessante perché essi vivono in condizioni molto particolari: sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS, dall’inglese International Space Station) in orbita bassa vicino alla Terra sono in condizioni di microgravità. In futuro, sulla Luna o su Marte, saranno in un ambiente a gravità ridotta, più aperto della capsula orbitante, ma più lontano dal rifornimento terrestre, con disponibilità di acqua limitatissime, in mancanza di terreno fertile naturale.
L’astronauta della Luna, e più ancora di Marte, sarà un ingegnere, ma soprattutto un agronomo e agricoltore. Abbiamo già visto questo scenario rappresentato nell’eccellente film Sopravvissuto – The Martian di Ridley Scott, ove l’astronauta Mark Watney (impersonato da Matt Damon), abbandonato sul suolo marziano perché ritenuto morto durante una tempesta, sopravvive per lunghi mesi realizzando una serra di fortuna, coltivando patate nell’arida regolite marziana, concimata con i rifiuti organici del suo equipaggio rimasti lì.
Questo viaggio attraverso la storia passata e futura del cibo nello spazio è quindi anche, a tratti, un ritorno alla scoperta del nostro legame con la terra, della nostra partecipazione a un sistema biologico circolare nel quale ogni specie è parte necessaria al buon funzionamento generale».
Beh, ora ci è venuta voglia di leggerlo, e ancor di più di tornare a sognare viaggi intergalattici!